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Editoriale
Riprendiamo la consueta chiacchierata introduttiva che è mancata nel numero scorso: avremmo
voluto spiegarvi che il ritardo del numero di gennaio non era dovuto a noi, e lo facciamo adesso:
le Poste erano bloccate e la rivista ci ha messo un mese e mezzo, in qualche caso due mesi, per
arrivare agli abbonati. Dobbiamo a questo proposito avvertirvi che anche il numero di ottobre (il
200mo, chi lo avrebbe mai detto?) avrà probabilmente un po’ di ritardo: sarà un traguardo
importante per la nostra rivista, con molte più pagine – quasi il doppio – e tanti articoli da
tradurre… faremo del nostro meglio durante l’estate ma, se non lo ricevete entro metà ottobre,
non preoccupatevi e aspettate almeno la fine del mese prima di scriverci per protestare.
Parliamo ora degli articoli che state per leggere: questa volta sono tutti dedicati a epoche e
argomenti totalmente differenti.
Iniziamo con il ritorno di Andrea Monarda che, dopo svariati articoli su importanti opere di
autori quali Luciano Berio, Luis de Pablo, Sylvano Bussotti, Alessandro Solbiati, Camillo Togni e
via dicendo, cambia registro e ci presenta i Dodici Studi del compositore brasiliano Francisco
Mignone. Sono brani che, per dirla con le parole dell’articolista, appartengono a “quel tipo di
musica brasiliana che concilia il colto e il popolare, la tradizione e l’innovazione, la tecnica e la
cantabilità…”. Mignone, come tanti suoi colleghi conterranei, è rimasto sempre all’ombra di
Villa-Lobos, almeno per quanto riguarda l’interesse dei chitarristi e, pur avendo scritto tanto per
chitarra, raramente compare nei programmi da concerto. I Doze Estudos sarebbero un buon
inizio per chi volesse conoscere o approfondire la sua opera.
Un nuovo articolo di Graziano Salvoni, che già ci ha raccontato gli inizi della carriera concertistica
di Joseph Caspar Mertz nella sua città natale (n. 197, gennaio 2022), ci fa ora seguire la tournée
intrapresa dal chitarrista negli anni 1841-1842, durante la quale poté visitare numerose città
dell’Europa centrale. Fu un periodo importante per Mertz, non solo perché si fece conoscere in
luoghi importanti come Praga, Lipsia, Dresda, Berlino, ma anche perché nel corso del lungo
viaggio incontrò quella che sarebbe diventata sua moglie, la pianista Josephine Plantin.
Indipendentemente dalla maggiore o minore frequenza di pubblico, le esibizioni di Mertz
ebbero sempre successo raccogliendo commenti positivi sui giornali. Una cosa però risulta
costante e perciò irritante: in tutti gli articoli appare la solita frase “la chitarra, questo
strumento ingrato…”. Pare che i giornalisti copiassero uno dall’altro, quasi non si potesse
parlare della chitarra senza attribuirle quell’aggettivo. È vero che poi seguivano lodi per il
chitarrista di turno (Giuliani, Mertz, Legnani, Carulli), cui si riconosceva l’abilità di superare i
limiti del “povero strumento”… appunto… Come deve essere stato frustrante!
Leonardo De Marchi è da anni fautore della chitarra a dieci corde. Avendo ascoltato il suo
intervento nell’ultimo Convegno Internazionale di chitarra a Milano, abbiamo pensato di
invitarlo a scrivere un articolo su questo tipo di strumento. Ha risposto al nostro invito
raccontando la storia della chitarra diventata famosa grazie a Narciso Yepes, che l’ha utilizzata
?per decenni ?eseguendo tutti i tipi di repertorio. Cosa ha spinto Yepes a cercare una chitarra
diversa da quella esacorde? Quale è stato il ruolo di Maurice Ohana e come è stato il rapporto
con José Ramirez III che infine, stimolato dal chitarrista, ha realizzato lo strumento? La ricerca di
De Marchi dà risposte a queste domande in maniera chiara, con una scrittura scorrevole e
piacevole da leggere.
Evangelina Mascardi, fedele all’impegno preso, non ha mancato di inviarci la terza puntata del
suo “quaderno”. Prendendo spunto dal prezioso manoscritto con le musiche di Vincenzo
Capirola, ricco di bellissimi disegni a colori, Evangelina cerca di sfatare alcuni “miti” che ancora
circolano riguardo all’interpretazione della musica rinascimentale: niente dinamiche, niente
timbri, niente abbellimenti… ma perché? È verosimile che, in un’epoca che ha visto fiorire la
pittura con bellissimi e vivaci colori, la musica dovesse essere “asettica”? Il manoscritto di
Capirola offre risposte al riguardo ed Evangelina le porta alla nostra attenzione nella speranza di
“smuovere” un po’ le acque.
Grazie all’indebolimento della pandemia le attività culturali hanno finalmente visto una ripresa
e anche in campo chitarristico la scena si è movimentata.
A Milano, a fine maggio, è successo di
tutto, con David Russell e Manuel Barrueco entrambi presenti nell’arco della stessa settimana
per concerti e masterclass; a Parma un super festival Paganini ha ospitato, oltre alle due star
appena citate, diverse iniziative, concerti, concorso, conferenze e via dicendo. Per unanime
ammissione, i due Maestri che hanno segnato una svolta estetica durante gli anni Ottanta (eh sì!
Sono passanti quarant’anni) sono in forma e non risentono del tempo trascorso. Avevamo l’idea
che, a confronto con altri strumentisti, i chitarristi soffrissero di invecchiamento precoce: in
tutta evidenza la generazione dei nati nei primi anni Cinquanta sta smentendo quell’idea. Amen.
Avendo menzionato i “grandi nomi” vorremmo ora spendere due parole per una stagione che dà
spazio ai giovani: i concerti organizzati a Lodi dall’Atelier chitarristico Laudense spesso non
hanno niente da invidiare a quelli delle stagioni più titolate nelle sale importanti dei capoluoghi.
Questa primavera abbiamo ascoltato tre bellissimi concerti tenuti da Vojin Kocic, Domenico
Mottola ed Emanuele Buono. Giovani che abbiamo seguito dall’inizio della loro carriera, dalle
prime partecipazioni ai concorsi fino a vederli vincitori di competizioni importanti. Guarda caso,
tutti e tre sono stati vincitori del (fu) “Concorso Chiesa” di Camogli: è stato quindi un piacere
ancora più grande vederli e ascoltarli di nuovo, con programmi rinnovati, con maturità ed
entusiasmo in crescita e liberi dalla “mentalità da concorso” che risulta invalidante per lo spirito
artistico.
Come vedrete, le pagine di Corsi-concorsi-appuntamenti, striminzite durante la pandemia, si
sono arricchite. Ma non basta riprendere a organizzare eventi, bisogna ricominciare a
frequentarli. E purtroppo l’assenza dei chitarristi dai concerti non è un fenomeno dovuto alla
pandemia: la generazione più giovane si accontenta di guardare YouTube, mentre quella che
riempiva le sale e faceva code nei botteghini quarant’anni fa, comincia ad avvertire la
stanchezza.
Cari giovani chitarristi, lo abbiamo già detto ma lo ripetiamo: se voi non andate ad ascoltare i
concerti dei vostri colleghi e maestri, chi verrà ad ascoltare i vostri? La maggior parte della
musica del nostro repertorio è nata per essere “consumata” dal vivo, quando ancora non
esistevano i mezzi di riproduzione elettronica, men che meno digitale. Adottiamo gli strumenti
storici per maggiore autenticità, e poi ci accontentiamo di ascoltarli attraverso le cuffie e
fissando un monitor? Spero possiate approfittare dei mesi estivi e di tutte le manifestazioni che
vengono organizzate per… esserci.
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